L’analisi visuale secondo Isabel De Maurissens

Lo scorso aprile una parete intorno a Hyde Park è stata ricoperta da un murale di Bansky che raffigura una bambina con un piccolo cartello di Extinction Rebellion, il gruppo di ecologisti che anima la protesta a Londra contro i cambiamenti climatici, accanto a una piantina verde che sta crescendo sopra un mucchietto di terra e brilla nel grigio dello sfondo. E la scritta: «Da questo momento la disperazione finisce e le tattiche iniziano». L’artista di strada di Bristol ha voluto così dire la sua sul problema del global warming e sui movimenti giovanili che si sono ispirati a Greta Thumberg.

Ma si può utilizzare l’arte di Bansky per raccontare gli obiettivi dell’Agenda 2030?

Il murales di Banksy a Hyde Park
Il murales di Banksy comparso a Hyde Park nell’aprile scorso

Mentre l’identità di Banksy è tuttora avvolta nel mistero le sue immagini – ironiche, intelligenti, audaci – fanno il giro del pianeta invitando grandi e piccoli, poveri e ricchi, colti e umili a riflettere sul nostro presente e a sognare un futuro più giusto, più pacifico, più vivibile: in breve, più sostenibile. E se sostenibilità è la parola chiave dell’Agenda 2030 – ovvero l’insieme dei 17 obiettivi che i paesi delle Nazioni Unite si sono impegnati a centrare entro il prossimo decennio – ecco che la correlazione prende corpo. Dello stesso avviso è Isabel De Maurissens, ricercatrice dell’Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa) che utilizza nell’ambito dei propri workshop sull’educazione allo sviluppo sostenibile le immagini del famoso artista da strada collegandole, appunto, ai Goal dell’Onu.

«Attraverso la “photo elicitation” chiedo ai partecipanti di rispondere a vari stimoli visivi, scegliendo le immagini che meglio rappresentano la loro visione. In questo modo si possono svelare le diverse prospettive. Utilizzando poi le immagini di Bansky, che sono di grande impatto visivo, i partecipanti si trovano a riflettere sui propri punti di vista e a rendere esplicito agli altri ciò che di solito viene dato per scontato».

La ricercatrice Isabel De Maurissens durante uno dei suoi workshop sull'analisi visuale
La ricercatrice Isabel De Maurissens durante uno dei suoi workshop sull’analisi visuale

Uno dei numerosi workshop che la De Maurissens tiene in giro per l’Italia si è svolto il 29 maggio a Perugia nel corso della Scuola di Ecologia e in quell’occasione abbiamo potuto osservare la sua metodologia che ha innanzitutto l’obiettivo di modificare il paradigma classico dell’insegnamento investendo sul lavoro in team, l’utilizzo di ambienti immersivi, compresa la realtà aumentata, la condivisione dei punti di vista. «Noi viviamo nella società delle immagini – spiega – Utilizzare la loro potenza in didattica è un ottimo modo per stimolare la fantasia ma soprattutto per incentivare il confronto tra le persone» spiega la ricercatrice. Ascoltando e vedendo all’opera la De Maurissens si può capire come tra i 17 obiettivi rivista un ruolo centrale il numero 4, “Istruzione di qualità”.

«Il quarto Goal si può raggiungere solo attuando il cambiamento nelle pratiche educative quotidiane. Abbiamo bisogno di una scuola più aperta al territorio, una scuola che tenga conto degli stakeholder esterni e interni. La scuola ha bisogno di ripensare se stessa, sia sotto il profilo metodologico-didattico, sia sotto quello organizzativo, considerando lo studente come attore fondamentale nel processo di costruzione della conoscenza, favorendo approcci formativi basati sulla collaborazione e sulla cooperazione, progettando ambienti di apprendimento aperti e flessibili, attraverso molteplici risorse».

Le immagini disposte durante il laboratorio di Isabel De Maurissens
Le immagini disposte durante il laboratorio di Isabel De Maurissens alla Scuola di ecologia

Durante il laboratorio Isabel ha appeso alle pareti i 17 cartoncini che raffigurano gli obiettivi dell’Agenda 2030, quindi ha invitato i partecipanti a scegliere un’immagine estrapolata dalla produzione di Bansky e ad associarla a uno degli obiettivi. Poi ha chiesto agli studenti di radunarsi per gruppi sotto l’obiettivo prescelto per confrontarsi sulle ragioni di questa scelta. «È il metodo dell’analisi visuale – spiega – che porta in evidenza le cinque “P” dell’Agenda 2030: partnership, persona, pianeta, pace e prosperità. Si sfrutta la polisemia dell’immagine, quella che permette cioè di cogliere il significato che ciascuno vuole dare a ciò che osserva, una metodologia alternativa a quella dell’intervista, dove il contenuto visivo fa da mediatore tra il formatore e l’aula». Nella seconda fase del laboratorio ognuno poteva inoltre cercare un’immagine priva di simboli o scritte fra molteplici fonti, compreso il web o la libreria dei media nel proprio smartphone, associandola a una didascalia e collegandola ad un goal da approfondire nella progettazione educativa. Anche in questo caso ne è nato un dialogo fra i gruppi che, rimescolandosi, hanno permesso di cogliere la dimensione sistemica della proposta avanzata dall’Agenda 2030.

«La metafora visiva – dice la ricercatrice – è come una porta che si apre su qualcosa, è un’idea che porta all’azione».

Guarda l’intervista dell’Indire a Isabel De Maurissens

Alla visione di una scuola diversa, che tenga conto delle complesse trasformazioni da cui deriva la cosiddetta società della conoscenza, è dedicato il Manifesto delle avanguardie educative sviluppato dall’Indire nel 2014 insieme a 22 scuole fondatrici: un documento che descrive sette orizzonti utili a ristrutturare l’organizzazione didattica superando il modello trasmissivo, riallineando i saperi della scuola con quelli della società, sfruttando le opportunità dell’Information and Communications Technology per creare nuovi spazi e tempi di apprendimento. Fino a produrre un’innovazione sostenibile e trasferibile:

«Un’innovazione è trasferibile se può essere trapiantata in un ambiente diverso da quello in cui è nata – conclude Isabel De Maurissens – Se trova il contesto adatto è come una pianta: mette radici, diventa albero e produce frutti che si nutrono del nuovo terreno».

Quel terreno di nuovi metodi e linguaggi inclusivi sul quale può avanzare l’educazione alla sostenibilità.

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